Articoli su Giovanni Papini

1915


Francesco Meriano

rec. Commento spirituale alla 1ª Poesia di Papini

Pubblicato in:: La Diana, anno I, n. 15, pp. 277 – 279
(277-278-279)
Data: 30 luglio 1915



  277

Avendo alcuni deficienti confuso l'affettuoso esame ch'io vo facendo dell'opera di Papini con la supinità banale dell'adulatore, mi decido a pubblicare questo Commento Spirituale scritto in una notte di solitudine e d'esaltazione (dopo la lettura della Prima Poesia) e destinato a rimaner ne' cassetti. Non m' intendo di critica; ma so che vuol dire sentir la poesia. Sentite con me.

   1.a STROFE:

  È lirica di sensibilità, una delle poche liriche ove Papini non pensi. Lo stato d'animo è ridotto all'essenziale: l'egoismo perfetto che si rivela in amore verso un fratello di spirito: l'espressione è tutta serenità e dolcezza. Solo qualche scorcio —vedremo — ci riporta brutalmente a rimuginii cerebrali, autarchici, d'altri tempi.

Due in confidenza, dritti come re,
s'andava per te strade, fuor delle poesie.
un fiore per te e una foglia per me —
e sleghiamo te fantasie!


   Chi paragoni la libertà espressiva di questa quartina ai futurismi e accademismi di altri, s'avvedrà che Papini, pur senza ricorrere a' caratteri cubitali, e senza far saltare i ponti della sintassi e le condutture della logica, è molto più avanti d'ogni parolibero irregimentato e non.
   Quel che importa, lo si sa subito: Due. Non più il fantasioso vagabondo cui

pesano sotto le suola
le strade camminate in società


   o non ancora. C'è della familiarità. Papini ci è molto vicino, più che nelle rabbie e negli isterismi di certe pagine dell'Uomo Finito.
   Due in confidenza, e non c'è nulla che guasti; dritti come re, quasi ironico. Già l'esperto scandagliatore e dissodatore sa che non v'è salita senza scesa e partenza senza ritorno; e si concede quasi col rammarico d'una debolezza a questa pausa di dimenticanza.
   S'andava per le strade, fuor delle poesie; nella vita che ferve e freme, fra la folla che non bada ai due sdegnosi imperatori che la sfiorano e la disprezzano. Ma questo fuor delle poesie ricorda forse le vigilie d'armi di due mastri d'opera del concetto e suona forse sfregio pe' sentimentalismi e femmineismi d'ogni sorta? Sarebbe una stortura immaginarlo; e smentita da quell'E sleghiamo le fantasie! cosi teneramente violento, e dal puro lirismo che trabocca ovunque.
   Un fiore per te e una foglia per me — Verso divino che si regala ai più fini, che o s'intuisce alla prima o si perde per sempre; che si spezza all'improvviso, voluttuosamente. La pausa è in questo verso e non nel seguente. La pausa è al posto della lineetta.
   E sleghiamo le fantasie! Il verso c'è, qui, tutto.
   Un fiore per te e una foglia per me—. Questo verso invece lascia nella bocca che lo pronunci il sapore aspro di qualcosa d'interrotto, di qualcosa di non detto: l'Ineffabile. La Poesia che non è nelle parole e nemmeno nella musica. La Poesia che bisogna guadagnare.
   E sleghiamo le fantasie! Una carezza.

   2.a STROFE:

S'era in due — soli tra muro e muro,
senza badare a chi passa, a chi vede:
occhio vuoto ma passo sicuro,
imperatori in buona fede.


   S'era in due: questo concetto è, anche graficamente, isolato (la punteggiatura di Papini è un mezzo espressivo di prim'ordine); l'impalcatura è geometrica; chi scrive ricorda, si sente. Non è ieri, nè ieri l'altro. Anni sono passati. Si sente. E si stupisce di quel due (che pronunziato lungo e lento


  278

rassoda il verso e rende la meraviglia di chi ricorda) come di un amore lontano e perduto.
   Due in confidenza. S'era in due. Ed il ricordo è bonario: veglie di poeti, escursioni di sognatori, progetti di costruttori! E' amaro il ricordo. Soli fra muro e muro. Soli, tra la gente che va e viene, e non esiste. Senza badare a chi passa, a chi vede. Occhio vuoto ma passo sicuro. Sono i primi aggettivi che troviamo in sei versi , se si tolga quel dritti, che è più d'un aggettivo, perchè si può dire che il re sostantivo concettualmente — e il come lo subordina — è la spiegazione di quel dantesco dritti. Ora: occhio vuoto ma passo sicuro. Che concettosità!
   Gli aggettivi in Papini non decorano, non caricano le tinte, non infronzolano i sostantivi: sono più dei sostantivi, sono concetti di prima linea. Altro che aggettivo faro e aggettivo-semaforo! C'è un vigore tutto dantesco in quel dritti, in quel vuoto, in quel sicuro; è una rudezza maschia di espressione che soggioga.
   Ora un verso svelto, brioso d'esperienza prendingiro: imperatori in buona fede. Chi scrive non ha più vent'anni.

   3.a STROFE:

S'incontravano i monti ad uno ad uno;
i tralci salutavano in giallo altalenio.
Noi non si parlava a nessuno:
ognuno era all'altro il suo dio.


   Non è difficile scoprire l'incrocio segreto di questa tecnica; due periodi ritmici in ogni strofe. Qui, e nella seguente, è perfetto questo contrasto armonioso. Due versi larghi, senza intoppi, immensi: la natura nella sua calma immutabile. Due versi ansanti, ardenti di spasimi nervosi, di chiuse volontà, di propositi febbrili: i due fratelli che pensano.
   S'incontravano i monti ad uno ad uno , i tralci salutavano in giallo altalenio. Sensazioni pittoriche crepuscolari, autunnali. La Toscana ritrovata nell'Allegretto dell'Uomo Finito, senza le iperestesie coloristiche rimbaudiane di un Soffici. Imagini delicate appena intraviste, non sfruttate, esaurite ed esagerate, sensazioni di tranquillità!
   E se, nel primo verso, l'espressione s'incontravano i monti può dare a pensare ad una concezione di moto, quell'ad uno ad uno è statico e scultoreo.
   La montagna.
   Il secondo verso è agile, fluido; lo sdrucciolo: i tralci salutavano s'accorda a perfezione col secondo emistichio: in giallo altalenio.
   Poi, un verso breve, quasi ingenuo, come sono ingenue in fondo queste collere grandiosissime dei giovini di genio: noi non si parlava a nessuno. L'istrice imbizzarrito mostra le punte, in quel noi ed in quell'ostinato ostentato mutismo.
   Ognuno era all'altro il suo dio. Irremovibile come una verità, come l'ultima espressione della volontà. La pausa è in quel dio.

   4.a STROFE:

Per quanto era largo il mondo dintorno
fiatava per l'aria odore d'amore.
Noi, quasi amanti del primo giorno,
si sentiva alle gote un bruciore.


   Foggiata sullo stesso schema della precedente. I primi due versi non hanno simili che in Dante e Leopardi.
   Per quanto era largo il mondo dintorno. La collocazione delle parole è d'una spontaneità grandiosa: qualcosa che non può essere altrimenti che così; la bellezza riveste i caratteri della verità. Quel per quanto ha la verginità di certe espressioni infantili: i bambini che allargan le braccia e guardano attorno, dintorno, e dicono: «Ti voglio bene tanto così». Quel dintorno deve cadere, si sente, si sa (in queste liriche quel che si sente, si sa) dopo il mondo.
   Fiatava, che verbo largo e sano e caldo! Odore d'amore. Troveremo l'odor di canto. Ed è una figurazione di nari ebre e frementi che aspirano gli odori della campagna.
   Noi, quasi amanti del primo giorno, si sentiva alle gote un bruciore. Questo senso d'abbandono e di scoperta che provano gli amanti del primo giorno ci dà due versi di sensibilità tenerissima.
   Papini non petrarcheggia, non corona d'aggettivi il soggetto de' suoi pensieri, non lo ammorbidisce nè lo tempra; dice subito e per prima cosa quel che più gl'importa dire.
   Fiatava ; odore ; amore. Il più reale, il più rappresentativo è il verbo ; poi il sostantivo odore ; poi l'indeterminato amore, che è più aggettivale, attributivo, decorativo, delle altre due voci. Così qui: si sentiva alle gote un bruciore. Sentite come me, con me, queste gote che bruciano.


  279

   5.a STROFE:

Ma s'era cosi felici, sudati, affamati,
brilli d'egoismo perfetto:
ci pareva ormai d'esser soldati
con dieci medaglie sul petto.


   Verso, il primo, tutt'ansante, pause e respiri. Promette più di quel danno i versi seguenti: quel

brilli d'egoismo perfetto

che non è lirico, quell'ormai che stona , e quelle dieci medaglie sul petto. Si spiega, chi pensi il Papini di ora e il Papini di allora: quasi un bagno ebrioso di orgoglio e d'egoismo, e quell'imagine dei giovini soldati che torna nell'Uomo Finito.
   Ma è uno strappo. C'è di Papini, in questo strappo; ma un Papini quasi preconcetto, schematizzato, che debba sempre ricordare lo spregiudicato demolitore, lo strainfischiante ingiuriatore. Via, mi pare che l'istante spirituale d'amore, di pienezza, di libertà sia raggiunto; e quell'egoismo perfetto e quell'indulgente brilli ci ricordano che si tratta di un sogno, di un'evocazione.
   Mi spiego: vivevo nel prodigio dell'attimo bello fissato, reso parola. E il ma, e la considerazione un po' triste, un po' gioiosa, mi sembra una cattiva azione, mi fa dei male. Avevo dimenticato che chi scrive ricorda. In sole quattro strofe, il miracolo di astrarmi e di farmi vivere di momenti, era rea1izzato. Ora siamo da capo.

   6.a STROFE:

Alla fine, alla fine della salita,
nell'ultima baia dell'orizzonte,
una luna di velo senza vita
si stacca leggera da un monte.


   Ma Papini può quello che vuole; nessuno di noi può sognare la felicità della sua espressione. Ed ecco una strofa deliziosa, leggera, che vola.
   Alla fine, alla fine della salita. Si sente l'ansare dell'ultimo sforzo nell'ascesa. Nell'ultima baia dell'orizzonte, verso calmo, immenso; una parola lontana, come ultima, una larga come baia, una circolare come orizzonte: ed è un miracolo.
   Una luna di velo senza vita si stacca leggera da un monte. Com'è soave questa scena! Chi altri avrebbe saputo in quattro versi darci sensazioni così diverse, ritrarre una scena così vasta, con tale sobrietà di mezzi?
   Un uomo, al quale voglio molto bene, Umberto Saba, ha qualcosa di simile : «una luna sfumata, una che appena discerni nell'aria serena».
   Bei versi; ma vi si sente il romantico, e la ripetizione è troppo molle. Papini rivela la sua maschilità anche in questa pittura di accorante languore.

   ULTIMA STROFE:

Tutto è uguale e compagno all'infinito:
colmo è il cuore, per nulla rintocca;
eppure, un momento, ho sentito
l'umido bacio della tua bocca


   E di più ancora: oltre i mezzi umani, oltre il prevedibile e, direi, oltre il possibile. Tutto d'Annunzio panico non vale questo verso: tutto è uguale e compagno all'infinito.
   Non pensate invece a Leopardi? «E il naufragar m'è dolce in questo mare».
   Ma Papini è più completo. Non indugia. La scena è stata descritta prima e racchiusa ora in questi versi.
   Lui: colmo è il cuore, per nulla rintocca.
   Il particolare meraviglioso, che sembra impossibile poter notare, in quell'estasi di nirvana: Eppure, un momento, ho sentito l'umido bacio della tua bocca.
   Bisognerà far notare la divina semplicità di quell'un momento, di quell'umido! Dove altri impiega versi e versi, per rendere una sensazione, un' impressione, un sentimento, Papini riempie di sè e di tutto un verso solo. Perciò è grande. Perciò nell'attimo crepuscolare sentiamo la mestizia ineffabile d'una luna di velo , le vette estatiche dei monti e quelle fruscianti degli alberi; è l'ora, torniamo a Saba, che «tutto questo andare ha una parvenza d' immobilità», l'ora sacra della forza che si rasserena in bellezza, e si piange pensando ai due genii disertori che nell'incanto di quest'attimo astrale scambiano lassù — oh, tanto su! tanto lontano da noi! — il bacio della loro fraternità!
   E' qui mantenuta la promessa che Gian Falco ci fece nell'Uomo Finito:
   «Allora sentirete venir su dal mio cuore liberato un canto così sospirante di voluttà, talmente gonfio di tenerezza, siffattamente molle di piangente amore che nessuno di voi potrà sentirlo senza ricordarsi l'attimo più solare e appassionalo della sua gioventù, senza contorcersi e spasimare per la troppo struggente dolcezza».


◄ Indice 1915
◄ Francesco Meriano
◄ Cronologia